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La dolcezza brusca dell’affabulazione Arcangelo Izzo
L’artista e il suo rapporto con la "naturalità vertiginosa" al limite dell'esplosione vulcanica
Carmine Rezzuti ha cominciato la sua avventura presso il mare con l’immersione nei due sensi del golfo di Napoli, dove scoprì i colori della coscienza, ma anche quelli della nascita e della rigenerazione: il blu di Procida, il verde di Ischia l’azzurro di Capri, le trasparenze quarzose, cristalline del litorale di Lucrino a ovest, il nero vesuviano.
Le cose banali, quotidiane e fluide appartengono al mondo, le incredibili si trovano solo oltre l’ultima terra.
Più o meno in questo modo l’antichissimo scrittore Antonio Diogene descriveva le tappe del viaggio della creatività verso il luogo del non ancora raggiunto attraverso l’accumulo dell’inutile, la dissipazione e la selezione del noto e del conosciuto, e la proiezione nell’ignoto e nel percepibile.
Quindi l’origine, il possibile ritrovamento del segno, dell’immagine, o meglio dell’icona, vanno collocati nel territorio del mistero, dell’enigma o del gioco, dal momento che né Diogene né alcun altro degli antichi intellettuali sapevano indicare ove potesse trovarsi questa ultima Thule.
Poco tempo dopo sopraggiunse, con la sua inimitabile parodia, Luciano di Samosata e affermava con assoluta certezza che sono vere solo le cose, i segni, le metafore e le immagini che sembrano false. E descrive, così, il suo viaggio nomadico nel mondo delle sorprese, ove si muovono pesci che nuotano nel vino, e che cotti bisogna annacquarli un po’ se no fanno venire i fumi al corpo, ranocchi volanti cavalli alati, mostriciattoli strani, seleniti che sembrano marziani d’oggi, collocati in un paesaggio aereo, persino astrale, tra scene di pandemonio o di beatitudine che ci ricordano l’odierna fantascienza.
A chi non crede, Luciano consiglia di andare lassù a vedere.
In quel mondo si reca Carmine Rezzuti per affermare come Luciano che il suo racconto per immagini non è romanzesco, cioè falso, ma "verissimo in fantasia", tellurico / empireo, come ebbi a dire qualche tempo fa ironico ed erotico, infuocato, sismico, tramato di acqua, aria, fuoco, terra e di elementi antropologici, poetici, verbali e materiali.
Carmine Rezzuti la sua avventura la comincia presso il mare con l’immersione nei due sensi del golfo di Napoli, ove scopre i colori della coscienza, anzi della nascita e della rigenerazione: il blu di Procida, il verde di Ischia, l’azzurro di Capri, mentre gli brillano negli occhi le trasparenze quarzose, cristalline del litorale di Lucrino ad occidente, il nero vesuviano con venature di ispirazioni del monte Somma e della spiaggia tornese ad oriente.
Ma l’albedo, la visione lucana e antelucana avviene in alto, sulle colline della certosa e del Parco Virgiliano, ove la ricorrenza mnemonica di quei colori mette in fusione il vissuto troppo umano, troppo reale, troppo ricco di storia e di "radici", con l’iconografia trans-reale, trans-fantastica, che tuttavia fa riferimento al giallo-grigio del tufo, al gotico guglioso appuntito e verticale, al barocco voluminoso e multistrato che il paesaggio cittadino offre allo sguardo aereo.
In questa fusione confluiscono, ancora, elementi esperenziali goduti e vissuti nei luoghi dell’arte, accanto al rosso "affresco" di Villa dei Misteri, che non solo diventa ematite sanguigna, pietrosa, laminata, polverosa, ocracea, ma consente anche all’artista, nella sua dichiarazione di poetica, di "superare le restrizioni della tela" e di sentirla come "schermo di una scenografia tridimensionale" presso le pitture e le sculture, i vasi e le anfore del Museo archeologico "nelle sezioni egiziana, sannitica, greco-romana,etrusca", davanti alla fauna dell’Acquario, nell’antro d’Averno e nella grotta della Sibilla cumana; negli spazi del gesto e della comunicazione, al mercato nelle arterie di San Gaetano e di San Gregorio armeno, nei vicoli spagnoli ove l’emporium, la merceria si chiama ancora "zarellaria" e accatasta, senza vetrina, giocattolini di ogni specie e di tutti i materiali sull’architrave dei bassi e sui muri circostanti, offrendo soprattutto tigri, squali coccodrilli scimmie e "mamozi" di ogni forma.
Qui avviene anche il prelievo di modi di dire, di motti di spirito, di proverbi popolari che si trasformano in titoli di lavori artistici, in resoconti di un tempo che nella sua esteticità mitizza allusioni metafore e simboli di un discorso, di un linguaggio iperbolicamente fabulatori.
Tommaso Trini (che invitò Rezzuti alla Biennale di Venezia del 1982 nota come Rezzuti vada "contribuendo alla odierna narratività figurale con la brusca dolcezza della sua affabulazione" che lo distingue dagli altri artisti, perché mentre quelli “raccontano la storia o filosofeggiano sull’etica, lui ( Rezzuti ) favoleggia di paesaggi e di animali che non esprimono altro se non la loro naturalità vertiginosa, al limite dell’esplosione vulcanica e, la loro pagana ferinitità…”.
…Tommaso Trini evidenzia, tra l’altro, il loro riferirsi ad eventi reali, terremoti e bradisismi sempre in agguato, a scene di lotta animali, che rimanda alla violenza del potere umano, al realismo popolare che si esprime attraverso una coscienza storica al limite del fatalismo, e osserva che le figure e le parole, di cui si materiano queste pitture polimateriche, sono segni autoreferenziali: ossia voci e personaggi del dramma della pittura.
Tuttavia Rezzuti sembra ricordarci ancora una volta che, se la pittura obbedisce alla circolarità, alla ripetitività, al bisogno di alimentarsi continuamente e di rigenerarsi naturalmente, l’arte in generale ama anche "mascherarsi" e, quindi, pudicamente creare quel linguaggio "verissimo in fantasia", che rifiuta le regole e apre la strada ad altri giochi, ad altri enigmi, ad altre apparizioni incredibili.
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Arcangelo Izzo
Tommaso Trini
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2010 - progetto
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2010 - progetto
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2010 - progetto
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2010 - progetto
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2010 - ambientazione
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2010 - senza titolo
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2009 - grande parete
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2008 - giallo di napoli
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1979 / '08 - progetto
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2007 - progetto
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2007 - progetto
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2006 - progetto
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2006 - progetto
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2006 - senza titolo
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2005 - riempire gli spazi
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2004 - punti di vista
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2004- tra il dire e fare
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2003 - senza titolo
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2003 - gabbie
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2000 - siamo fatti per soffrire
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1991 - non si tocca
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1990 - senza titolo
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1989 - senza titolo
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1988 / '89 - castelli in aria
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1987 - rosso di Pozzuoli
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1986 / '89 - al centro della terra
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1983 / '88 - fuoco fuoco
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1982 - o' mamozio
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1979 / '80 - attenti al lupo
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1979 - senza titolo
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1975 - tu sei teresa
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1974 / '75 - dai ricordi
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1973 - rituale carnivoro
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1973 - rituale carnivoro
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1972 - senza titolo
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1972 - senza titolo
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1970 - camera sonora
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1969 / '70 - senza titolo
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1969 - sagome
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1969 / '70 - palmetta
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The Endogenous Tale, Rezzuti’s Fantastic Bestiary in Review of Art and Criticism Tommaso Trini
“Since the history of painting has created an unending flood of visual metaphors of the Gulf of Naples over the centuries, it has happened at last that the painter of hard tales, Carmine Rezzuti, has been able to turn the waters of the Gulf, and its bestiary, its eruptive floors and its volcanic tectonics, into a visionary metaphor of the art of painting, in a sea of painting.
We cannot fully appreciate the pictorial theatre, very enjoyable in itself, of this symbolist artist from Naples, if we do not grasp his changes of perspective: his universe is one that overturns continuously. His Parthenopean tale arises from the art of painting.
For some years Rezzuti has been staging a fantastic bestiary on the canvas from an underwater perspective which puts us as spectators under the level of the pictures, of the imaginary waters, enhancing in this way both the state of dreaming his images infuse and the primitive power of the sea depths linked to the cavernous magma of the volcanoes.
But there was a lighter and more oxygenated time (when I invited Rezzuti to the Biennal Exhibition in Venice in 1982) when Rezzuti’s art gathered very stained and aerial cities in a bird perspective which put our look over the level of the scenes, so heightening our flight condition over peopled mountains that now had the size of a crib and now were bursting with colours and anthracite like fireworks over the Gulf.
It is the dialectic course of an artist who makes objects and sculptures, who paints spurious surfaces in relief with mixtures, although he is a pure painter. A painter who declares himself as Neapolitan and symbolist to spread some universal value through the particular, as if he were an Edward of the painting.
Then the question is: what does Carmine Rezzuti really tell? The recent chronicles of the transavant-garde time, to which we only superficially could link his magic expressionism, opened the flow to a heteronomous and narrative art. Rezzuti began to narrate his symbols when there was not any transavant-garde, and he goes on making up stories now that new forms of pictorial abstraction and further bodily expressions have taken the place of the avant-garde. More than the shift of the painting to the gift and fancy goods, the avant-garde stimulated the development from an introflexed art, even if no longer independent, to an extroverted one that started to tell, and tells, for the good reason that telling is one of the means of interaction with reality.
Artist are more than ever interested in today’s complex and stratified realities for the good reason that they directly produce art. Realities are stronger than art because they prepare its references and even its materials, objects, mixed media and epochal changes, the economy, the market and other definite artifices. It is reality that produces images through the collective imagination and the single artist.
This was already proved by Duchamp’s Big Glass that then became popular like its cerebral soap opera of the impossible nineteenth-century love between a bride and her bachelor through the alchemic symbology. This is proved by a lot of art in these years dominated by preponderant trends towards a conceptual and narrative symbolism that a hundred years ago, at the decadent end of the century, had prevailing literary forms and a still ideological root as it expressed the refusal of naturalism and the definitive replacement of impressionism: a symbolism that today, in the shocks after the modernity, proceeds both from dark transformations and from light virtual realities.
So, if it is the extreme world that gives origin to and feeds the painting, then the painting can mirror and tell the outside reality without giving up its independence, or losing its identity. Art can give itself a symbological structure (for example, an esoteric or alchemic one) and this does not mean that it has to be worked out as an alchemy treatise, a painting is not a cryptography for solvers of puzzles, the reading and interpretation of a painting are not of great use to work it out, but as we have decoded it, they tend to code at their turn.
Rezzuti is contributing to the modern figurative fiction with the sharp sweetness of his narration. While artists tell history or philosophise about ethics, he tells stories of landscapes and animals that express nothing but their dizzy naturalness, at the point of the volcanic explosion, or their pagan wild force. I like this Rezzuti’s pictorial brutishness and his visionary fever that brings him very close to Enzo Cucchi’s one.
What Rezzuti really tells is expressed by the evidence with which he depicts the depths without painting an illusion of waters: because our fancies of eruptions are suggested, more than by images of volcanoes, by magmatic veins of colours and tongues of fires and smokes through which dragons, sharks, reptiles, bats and caymans, which live in these interior landscapes, communicate and grow: he tells the volcano painting.
His work is an endogenous tale that talks about the source of images and shows the autonomous production of the pictorial language through animals and eruptions.
It can be interesting to note that in a time of corruption without boundaries the artist depicts fightings between sharks and alligators in the middle of spirals of fired magma, but it is more interesting to see that his art remains art even though it goes down to the bowels of the Gulf or to today’s history…
…Yet, better observing these paintings made with different materials is then enough to understand that the figures and the words, of which they are materials, are self-referential signs, when they are seen in their bare vitality: that is, they are voices and characters of the drama of the painting. So those scenes affirm now that Rezzuti’s whole art “has always been the same thing” in its more than twenty-year course. And they even say that the whole past and present painting “has always been the same story” in its symbolistic and allegoric nature. So they reaffirm the both specialized and popular notion that art benefits from “feeding” on a different art, on mimesis, on quotation. This is what Rezzuti partly does by recurring to the alchemic symbology and to mixtures of lead and pumice, of graphite and pigments, already matured both by Duchamp and by Beuys. So those images show lastly that a work of art can “regenerate” in the hands of the artist like Rezzuti’s tale was able to deepen itself during the years – and it prepares itself “to regenerate itself” in future times – as long as it lasts, thanks to the change of generations and interpretations.
An orgasm runs between life and death in these scenes. It is strange, but critics very little dwelt upon the erotic stream which Rezzuti’s main forms and figures decorate with arabesques among things and beasts in his material. His representation is orgasmic as it narrates those deep instincts that in H.Nisch’s orgiastic theatre, for example, prove to be tragic instead, or worse, tragically ideological.
On the contrary, Rezzuti’s narrative vis links in the iconic and chromatic orgasm life and death, eating and being eaten, in the pagan tones of an ellenistic comedy, such as the eruptive puffs and the dance among the fighting animals, how is it possible not to see that the protuberant mountain and the telluric chasm, the streams of magma and the round clots of pumice stone represent, among other things, a frankly sexual systems of signs too? Their deepest quality is perhaps to erotize my look.
They will say Rezzuti’s tale is erogenous, besides endogenous, obviously. What is important is to prove him as a viaticum to a new neopagan morality.”
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